Gli Asteroidi
Collezioniamo dischi, ci spacchiamo di film e serie tv, andiamo ai concerti, amiamo il teatro. C’è un tratto comune che mette insieme le nostre passioni e le nostre abilità: quello di poter fare musica e vivere alle volte dei privilegi, come in questo caso, di poter creare due brani per la colonna sonora di un film importante. Un film di “regazness” tra balere e radiotelescopi della provincia bolognese, per cercare l’amore e il mito della fuga. Non c’è voluto molto ed è nato tutto senza sforzo, forse un altro privilegio ancora. Germano ci ha dato fiducia, ArtiCulture ci ha coinvolto in questa avventura e misurarsi con le immagini è stato molto divertente.
Stiamo parlando dei due brani originali della colonna sonora de ‘gli asteroidi’ il primo lungometraggio di Germano Maccioni, unico film italiano in concorso al festival di Locarno 2017. Uno l’abbiamo registrato con EXTRALISCIO e l’abbiamo pure suonato in scena, sul palco di una bellissima balera con il tetto apribile, assieme a Moreno il Biondo, veterano del liscio e della musica folkloristica romagnola. L’altro l’abbiamo scritto e registrato con Matteo Costa.
Ecco niente oggi questo film a cui teniamo molto per la prima volta viene proiettato in pubblico, al festival, mentre noi siamo in viaggio per Melpignano e per il So What Festival. Volevamo raccontarvelo e mostrarvi in anteprima una scena, quella che ci vede recitare come musicisti di un orchestra di liscio chiamata EXTRALISCIO SOCIALE.
not for sale
Vivo nel quartiere santo stefano da tutta la vita, esclusi quattro anni. Ho fatto le elementari in via dante, le medie in via pepoli e il liceo in castiglione. I miei migliori amici abitavano in san petronio vecchio, via della braina e via santo stefano. Con i regaz tenevamo una serata chiamata apepop nella sede del quartiere, trasformando quello che di giorno era un centro anziani in un casino inimmaginabile la notte. Arrivavo il venerdì sera da udine con l’euronotte delle 2.15, albi mi passava a prendere, oppure Berna, e andavamo al baraccano dove mi mettevo a fare il barista in mezzo gente allegra e marcia mentre Albi e Bebo mettevano i dischi e Fiò… Fiò faceva Fiò, e ancora non aveva il taxi. Proprio lì in una delle ultime sere prima di essere epurati come emissari dell’alcol, del sesso e del rock’n’roll, avvenne il primo concertino dello stato sociale. Vivo nella città che amo di più ed è una cazzo di fortuna, e come ogni ragazzetto del centro ho il culo peso e mi sposto a piedi o in bici dentro un perimetro stretto che finisce per essere il mio universo, non ho neanche mai preso la patente, per dire. a 500 metri da casa mia c’era, fino a questa mattina di stamattina, Labas. Si trattava di un centro sociale dentro a un ex caserma, nel cuore dell’unico quartiere di destra di una città rossa. Una destra che in ogni caso sarebbe sinistra, per dire, a roma o verona.
Un centro sociale molti non sanno cosa significhi, per questo dicono tante cazzate, fedeli al grande dogma di internet “giudicare senza comprendere”. Un centro sociale è un luogo di aggregazione che non si vergogna di avere delle idee, un luogo che sfugge alla dittatura dell’aperitivo a dieci euro, dove i concerti sono gratis o a sottoscrizione, dove lasci i bambini, dove qualcuno insegna l’italiano agli stranieri, dove vai a fare la spesa e ti metti d’accordo col tuo contadino per la tua cesta mensile, dove una sera vedi l’opera punk e un’altra il wrestling proletario, dove vai a prendere la tua ragazza o il tuo migliore amico che non hanno voglia di rientrare a casa dopo lavoro ma di vivere la città e bersi una birra. Un centro sociale è un luogo attorno al quale il quartiere si stringe e respira, come piazza Santo Stefano, come un paio di bar e una sola osteria. Un luogo di incontro, libero, civile, altro. Fuori dalle logiche della vendita e del consumo obbligatorio, ma non fuori dal mondo e lontano dalle lotte. E per questo in fondo non c’è più. Per questo hanno murato Atlantide, per questo minacciano da ventanni l’xm e per anni l’hanno fatto con il tpo, per questo Chourmo e per questo Zam. Per questo, a ben guardare, pure gli sgomberi abitativi di solferino ed ex telecom. Perché vogliono un mondo in cui chi non produce reddito non abbia un tetto, in cui chi immagina una società diversa venga allontanato dall’unica società, in cui non bevi senza arricchire esercenti e comune, non mangi senza passare da multinazionali ed expo, non vai a un concerto senza arricchire agenzie major e bagarini legalizzati, non metti insieme italiani e stranieri, bianchi e neri, etero e gay, vecchi e ragazzi, arabi e ebrei, altrimenti poi come fanno a dirti che è tutta colpa del nemico, del ricco, del povero, dello sbirro, del punk, del frocio, del negro, della zecca, del padrone, del terrone, del fuorisede, del sindaco, del vecchio di merda?
Per questo sgomberano la gente dai posti vivi dove la gente si incontra, si mescola e cambia. perchè la cultura non è un insieme di nozioni, ma un luogo in cui si incontra gente diversa e cambia idea. E questa cosa fa paura. Ed è questo che vogliono, vogliono eliminare la possibilità che qualcuno pensi che un mondo diverso, un modo diverso di vivere, sia possibile. E penso che se adesso non rompiamo il cazzo fino alla morte a qualsiasi questore, a qualsiasi sindaco che gira la testa, a qualsiasi digossino che fa finta di niente mentre un carabiniere mena una giornalista, penso che ci meritiamo una città così. certa, sicura, inutile, quadrata, aderente al mercato e alle tv e radio commerciali. stanca, dritta, vuota, silenziosa, fissa, apatica, noiosa, grigia, finita, produttiva, ricca, eugenetica, rassicurante. come la morte.
Se adesso tutti noi non facciamo un macello, sapete che c’è?
Siamo tutti morti.
Fanculo.
Lodo Guenzi
Benvenuti nella merda: oggi hanno sgomberato Labas.
Benvenuti nella merda: oggi hanno sgomberato Labas.
“Benvenuti nella merda”: perché Bologna è questa roba qui che vorresti rappresentare più elaboratamente ma alla fine ti viene solo da pensare “benvenuti nella merda”.
Làbas è stato per quattro anni un avamposto di socialità sostenibile, di attivismo intelligente e di dignità. Gigante e -per loro- insopportabile dignità: abitativa, culturale, umana.
Funziona così in questa città che non sa più vivere, amministrata da un inutile pupazzo in mano a questore e prefetto: rientri in un progetto di gentrificazione e riqualificazione del cazzo con i negozietti pettinati e il panino gourmet da 10€ e cinquanta? Bene avanti. Ti occupi attivamente di fornire un’alternativa vincente al modello dominante? Prego andarsene, ma senza soluzioni mediate: solo con l’uso della forza di polizia e carabinieri.
Quindi le colonne di fumo nero, le urla, le cariche e qualche testa dolorante perché questa è l’unica lingua che questa città -nei suoi piani più alti- sa parlare.
Non avremo i caschetti, i manganelli e le pistole ma siamo tantissimi, troppi per voi. E parliamo una lingua bellissima: “ci avete tolto troppo, ora vogliamo tutto”.
Alberto Bebo Guidetti
Bologna non dimentica
Bologna non dimentica
Ci è sempre piaciuto moltissimo l’attacco della pagina wiki sulla Strage di Bologna:
“La strage di Bologna, compiuta la mattina di sabato 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria di Bologna, è il più grave atto terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra, da molti indicato come uno degli ultimi atti della strategia della tensione. Come esecutori materiali furono individuati dalla magistratura alcuni militanti di estrema destra, appartenenti ai Nuclei Armati Rivoluzionari, tra cui Valerio Fioravanti. Gli ipotetici mandanti sono rimasti sconosciuti.”
‘Volersi bene con Guidetti non è mai stato facile. Non è mai stato una persona cattiva ma di difficile lettura sì, anche perché dietro a quei baffi è sempre stato difficile, non dico capire cosa pensasse -poiché in fatto di monologhi e logorrea arriverebbe a risultati olimpici- ma perché in anni di solitudine al comando di un autobus per tante ore al giorno o dell’azienda di famiglia, la bocca l’ha sempre aperta per raccontare altro e divertirsi anche lui nello svagare, nel divagare. Cercando qualcosa che fosse differente: non lavoro, non sé stesso, con cui parlava parecchio ogni giorno.
Volersi bene senza quasi conoscersi, vi sfido io a provarci con chiunque, forse è il mestiere del padre e di cose Eriano me ne ha insegnate in quantità che non so quasi dove metterle. Anche se poi sbaglio tanto e profondamente almeno sbaglio benissimo.
Io e il babbo per molto tempo abbiamo quasi sempre litigato e quasi sempre ci siamo sempre voluti bene così: più litigando che andando a giocare al campetto da basket quando ero piccolo. Forse perché dietro ai baffi alla fine ci somigliamo parecchio’.
No, non è una truffa
No, non é una truffa
Nel 2014 Bebo si lascia dopo alcuni anni con Francesca e scrive una lunga lettera di molte pagine che contiene anche le parole che poi sarebbero diventate il testo di “La felicità non è una truffa”, la invia a Matteo Costa Romagnoli che taglia, aggiusta, aggiunge, ci mette la musica sotto e ne fa un pezzo per i suoi COSTA! inserendola in uno dei loro bellissimi EP. È solo dopo qualche mese che decidiamo di farne una versione nostra e proporvela, per vedere che succedeva. Ad oggi ‘truffa’ (come é scritta nelle nostre scalette) è l’unico brano non presente in nessun disco ufficiale che ancora suoniamo in tour e ci è sembrato giusto ed inevitabile chiedere a Matteo e la sua banda di venire a suonarla con noi sul palco del PalaDozza.
I COSTA! con il loro rock’nroll sono la nostra band preferita di Garrincha Dischi, forse perché sono gli unici a vestirsi male quasi quanto noi.
Lampare sul tubo!
Lo avete tanto richiesto.
Lo avevamo regalato i 7000 del fanclub per natale 2013 chiedendogli di non divulgarlo. Ecco lo hanno fatto. Sono stati bravi. Ed oggi, siccome continuate a chiedercelo, nell’attesa di una raccolta ufficiale di tutti i b-sides, oggi liberiamo sul tubo “Lampare”.
Noi gli vogliamo tanto bene. Fatelo anche voi.
Resistere alla paura
Sabato siamo tornati sul palco, sabato è finalmente partito il tour di “Amore, lavoro ed altri miti da sfatare” ed è stato bellissimo. Ci siete mancati davvero tanto.
Oggi arrivano notizie destabilizzanti da Manchester e quello che ci viene da pensare, è che noi cinque suoneremo e canteremo tutte le volte che ne avremo voglia. Che balleremo tutta la notte. Che andremo a teatro e rideremo sguaiati, o magari piangeremo come dei fessi. Che porteremo i nostri fratellini ai concerti e i nostri amici a vedere il basket, a vedere il calcio. Che faremo su e giù per le autostrade con i furgoni carichi di strumenti, luci, scenografie e coriandoli. Che passeremo la vita a montare palchi, accendere impianti e respirare insieme quel momento di buio prima di salire sul palco. Che proveremo otto ore al giorno in uno scantinato in subaffitto fuori città per capire il senso di una battuta, quanto c’è di noi là dentro, quanto di noi sappiamo lasciare agli altri. Che aspetteremo una data per mesi, poi per giorni, poi poche ore prima ci chiederemo chi ce l’ha fatto fare di finire lì, di fronte a tutta quella gente, a lasciare un pezzo di cuore sperando di non sentirsi sbagliati, inadatti, troppo piccoli. Che riempiremo i pomeriggi di canzoni, che prenderemo treni e finiremo alle cinque del mattino ubriachi fuori da un festival a perdere la prima metro e che di tutto saremo felici. Saremo felici e ce ne fotteremo di chi uccide in nome di Dio, o per gioco, di chi non ha capito che anche se non ci facciamo esplodere per andare in paradiso c’è qualcosa a cui anche noi non rinunciamo. Di chi non si rassegna al fatto che tra tutta la merda che abbiamo gettato sul mondo, la capacità di stare insieme con un po’ di musica a raccontare se stessi per non finire soli beh… quello è il nostro paradiso.
Siamo convinti che resistere a un regime significhi prendere in mano una volta nella vita le armi e andare ad ammazzare un dittatore, si, ma anche resistere alla paura, ogni giorno, è importantissimo. Ricordandoci ogni volta per cosa vale la pena vivere. Ecco, questa è l’unica cosa davvero in più che abbiamo. Loro sanno per cosa vale la pena morire, ma noi sappiamo per cosa vale la pena vivere. e vivremo.
Siamo felici di essere nella colonna sonora di PIIGS.
PIIGS é uscito in sala giovedì scorso in diverse città italiane e già è risultato uno dei documentari italiani più visti di quest’anno. Ormai sta diventando un vero e proprio caso.
E’un documentario che parla di economia, della crisi, della borsa, di lavoro, di precarietà, di amore verso il proprio mestiere, di cooperative, di disabilità e di resistenza. Nonostante tutto non é mai pesante e riesce nella difficile impresa di raccontare in epoca strana come quella che viviamo. Una delle scene più belle del film ha come colonna sonora la nostra ‘Piccolo incendiari non cresconò.
Qui tutte le info su sale, orari e città: PIIGS The Movie
I KEATON in tour
I KEATON sono il gruppo di CAROTA, ve lo ricordate? il loro primo disco é uscito da poco più di un mese per Garrincha Soundsystem. Da allora appena ha un momento libero sale sul palco per farvelo sentire. In occasione dell’ultimo Garrincha Loves Bologna i regaz di muse-X hanno filmato questa versione unica del loro ultimo singolo suonata con i due membri fondatori de La Rappresentante di lista.
Queste le prossime date live:
04/5 MILANO // Arci Ohibò
12/5 LUNANO (PU) // Enoteca di Lunano
+ dj set di Matteo Costa ed il nostro Checco
13/5 BRESCIA // CSA Magazzino47
+ España Circo Este + dj set di Matteo Costa ed il nostro Checco
Nudi al 40% - vi raccontiamo il nostro primo maggio
Grazie per i tanti messaggi e il sostegno straordinario della piazza. Al di là delle difficoltà tecniche che impone il montare un palco da zero e suonare in pochi minuti, al di là dell’emozione che solo su quel palco ci spezza la voce, voi siete stati speciali. In piazza e da casa.
Eravamo nudi al 40%, come il 40% dei giovani italiani senza lavoro e senza garanzie: perché se salire su un palco per noi rimane un grande privilegio, rimane anche un carico di responsabilità su cosa è possibile fare e dire da una posizione del genere. Tacere, dimostrarsi distratti e lontani dal ciò che accade in Italia sui temi del lavoro è complicità con chi sottrae diritti e precarizza le esistenze di tutti, allontanando sempre di più la possibilità di conquistare dignità e felicità nel proprio ambiente di lavoro.
Lo spettacolo di chi canta su un palco del primo maggio, qualunque esso sia, è per una volta secondario all’ego e agli applausi ma un momento in più ed importante per tenere alto il livello di attenzione e di scontro su ciò che è il lavoro oggi.
La strada è lunga, ma solo restando insieme si possono conquistare diritti e benessere. Perché “ci avete tolto troppo, ora vogliamo tutto”.
È pieno il mondo di band che non si espongono politicamente, non fanno niente di terribile e non ha nulla di male il loro pubblico. Semplicemente, noi non siamo questo. Noi saliamo su un palco per prendere una posizione, soprattutto il primo maggio. Se qualcuno non lo può sopportare, può ascoltare altro. Non c’è niente di male.
Non abbiamo mai avuto paura di chi ci critica. Non abbiamo fatto una performance impeccabile ed in molti se ne sono accorti, ma siamo felici che nessuno abbia notato stasera la nostra pessima impostazione nel calciare un pallone. Così come siamo felici di aver disturbato la quiete di gente come Salvini e Poletti.
Siamo pure finiti su blob con ‘mi sono rotto il cazzo’ in versione integrale e per noi è un po’ come essere diventati padri e aver vinto lo scudetto nello stesso momento. Un’altra piccola soddisfazione che in qualche modo ha a che fare con voi e di cui vi siamo grati.